Cominciamo da Arlecchino....

...visto che è finito il tempo di carnevale e le maschere sono ritornate negli armadi, forse vale la pena di riportare alla luce una versione di Arlecchino poco conosciuta e per me interessante. Si lega al tema del tempo e del folklore, così come poteva essere vissuto nel XII secolo e da allora ha cambiato sembianze, significati e percezioni ma conserva, se la si guarda bene con occhio attento, qualche connotato di mistero.
Gualtiero Map, nato nel 1140 tra l'Inghilterra e il Galles, è un chierico che verso la fine del secolo mette per iscritto storie e leggende raccolte qua e là che hanno come comune denominatore il tempo " Sono nel tempo e parlo del tempo, eppure non so cos'è il tempo", scrive a commento della sua opera citando Sant'Agostino.
Ma quello che ci interessa non è parlare di Map ma di quello che ci racconta sulla nascita della Mesnie Hellequin, o familia Herlethingi, la masnada selvaggia che, al ritorno da un viaggio fantastico in un al di là rappresentato dalle nozze di un re pigmeo, viene condannata a vagare perpetuamente.
E' il racconto di Herla, re dei Bretoni, che viene convocato da un re descritto come un pigmeo che chiede di partecipare alle nozze del re bretone con la figlia del re dei Franchi. Il giorno delle nozze il re pigmeo si presenta a palazzo con una schiera di servitori che addobbano le mense, servono cibi squisiti e sono circondati dall'ammirazione di tutti. Unica condizione posta da questo strano personaggio è la partecipazione di Herla alle sue nozze che si sarebbero tenute l'anno successivo.
Allo scadere dell'anno, Herla e il suo seguito vengono di nuovo convocati dal re pigmeo che li guida in un bosco entrando quindi in una caverna che si rivela essere uno splendido palazzo.
Celebrate le nozze, dopo tre giorni di festa, re Herla si accomiata dal pigmeo che, tra gli altri doni, gli affida un piccolo levriero da tenere in braccio, con l'avvertimento che nessuno scenda da cavallo durante il viaggio prima che lo faccia il piccolo cagnolino.
Arrivato alla luce del sole re Herla incontra un pastore al quale chiede notizie della regina e scopre che sono passati più di duecento anni ed ormai sono i Sassoni i padroni del regno. Il re è sconvolto da questa notizia e un suo guerriero, dimentico dell'avvertimento del pigmeo, scende a terra e subito viene ridotto in cenere. Da allora re Herla cavalca con la sua masnada senza sosta in un infinito vagare.
Hellequin, il capo dell'esercito dei morti, si tramuta successivamente ( tra il XIII e il XIV secolo ) nella maschera teatrale di Arlecchino, una maschera che rappresenta il diavolo, così come, del resto, tutte le maschere nel periodo medievale che nascondono l'Uomo e rivelano l'Altro. Se vi capita di andare in Val Brembana, nel borgo di Oneta, troverete il museo delle maschere di Arlecchino e soprattutto per alcune potrete verificare quanto l'immagine diabolica sia incarnata dalla maschera della Commedia dell'Arte.
Questa maschera assume una dimensione scenica nel teatro medievale diventando la bocca dell'inferno, la hure,  il sipario che la chiude è detto la Cappa d'Arlecchino e ancora oggi, il Mantello d'Arlecchino è la tenda che circonda la scena del teatro.
La maschera rappresenta i morti o meglio la necessità per chi è mascherato di recitare questo ritorno, ma non è mai una sola rappresentazione, una replica fedele del diavolo, di un animale o di un essere non umano, ma una mescolanza di tratti, di significati, di visioni che rimanda ad un'altra dimensione.
L'Arlecchino bonario e scaltro che conosciamo dal teatro moderno ha una storia più antica e molti significati, ricordiamocelo quando rideremo ai suoi lazzi e scherzi mentre lo vedremo muoversi con destrezza nel suo variopinto vestito.
Che i morti ritornino in qualche modo fra i vivi in certi periodi dell'anno è del resto una credenza antichissima che la Chiesa già nei suoi primi sviluppi tentò di arginare, ma pensate alla ormai buffonesca messa in scena di Halloween, festa di origine celtica dove il ritorno dei morti viene interpretato dalle maschere dei ragazzi, vestiti da scheletri e fantasmi, girando per le case chiedendo piccoli tributi e minacciando, in caso contrario, di fare qualche scherzo: oggi replichiamo inconsapevolmente e a volte scioccamente una festa che aveva nell'antichità ben altro valore. Il tema è davvero ampio e non è questo il luogo per approfondirlo ma, per chi ne avesse voglia, volendo questo essere un blog di stile letterario, vi consiglio tra i tanti qualche libro.
Anzitutto di Jean-Claude Schmitt il meraviglioso testo " Religione, folklore e società nell'Occidente medievale". Edito da Laterza rappresenta un importante raccolta di articoli di questo grande storico sul tema delle credenze popolari medievali, articoli che possono introdurre con serietà e sorpresa ad un mondo lontano nel tempo ma più vicino culturalmente di quanto si creda.
Di altro genere, più divulgativo, il "Calendario" di Alfredo Cattabiani, edito da Mondadori, che con rigore scientifico ma senza annoiare ci racconta l'origine delle  " feste, i miti, le leggende e i riti dell'anno". Sullo stesso registro " Il Libro delle feste " di Franco Cardini, grande storico medievale, che ha nel suo narrare una dimensione " circolare " sintetizzata nel sottotitolo " Il cerchio sacro dell'anno", edito dalle edizioni Il Cerchio.
Sul tema del divertimento, invece, e in generale sul concetto laico e religioso di gioco e della burla nel medioevo, consiglio per chi conosce un pò lo spagnolo, "Burla, escarnio y otras diversiones" di Xavier Theros, edito da Editorial La Tempestad, un viaggio sorprendente nel mondo dello scherzo, della burla, della funzione apotropaica del riso.
Per venire a cose più leggere, il tema di Hellequin e della sua caccia selvaggia trova posto anche in romanzi contemporanei, come nel caso di Fred Vargas e del suo " La cavalcata dei morti " dove il commissario Adamsberg si trova coinvolto in un omicidio avvolto nell'alone di queste misteriose apparizioni .
Non è a mio avviso il miglior romanzo della Vargas, che spesso inizia bene deludendo un pò nel finale, ma in ogni caso rappresenta una testimonianza, pur strumentale ad altro, del valore simbolico ed evocativo che questo argomento può ancora suscitare.
Siamo partiti da Arlecchino e approdati a lidi più complessi ma come il vestito di Arlecchino e la sua multiforme realtà, così vuole essere questo blog, spaziando tra argomenti e temi diversi, senza pretesa di far dottrina, ma con l'ambizione di suscitare interesse e dialogo con chi avrà la pazienza di leggere e condividere.

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